Vita da Romani
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Il parto
Partorire, nell’antica Roma, è estremamente pericoloso. Specialmente perché, quando una matrona partorisce, la levatrice non guarda le sue parti intime per pudore! Almeno, così raccontano alcuni autori, tutti uomini (che probabilmente non hanno mai visto un parto in diretta).
La sorte del neonato
Il neonato, quando sopravvive, viene messo al centro della casa, secondo il rituale. Se il padre lo prende in braccio, il bambino è accolto nella famiglia. Se il padre lo lascia a terra, il bambino viene portato fuori dalla casa e abbandonato. Ciò succede molto più spesso con le femmine che con i maschi. Spesso i bambini abbandonati vengono raccolti e cresciuti come schiavi.
Le donne romane possono scegliere se allattare i propri figli. In questo modo, secondo la credenza di allora, la matrona invecchia rapidamente ma trasmette attraverso il latte i valori e il carattere al piccolo romano. Se la madre preferisce conservare la forma fisica il bambino viene allattato da una schiava. Ma, è chiaro, il latte della schiava porta un carattere debole e non è veicolo di nobili valori!
I ragazzi patrizi
Fino alla pubertà, i figli maschi delle famiglie benestanti studiano con un maestro e indossano un amuleto che li protegge, dato che la mortalità infantile è altissima. A sedici anni, il giovane romano lascia l’amuleto, smette la toga praetexta (abito dei giovani) e indossa la toga virilis come gli adulti.
La fase della gioventù, secondo i Romani, è caratterizzata da una sorta di follia e da passioni eccessivamente forti. Bisogna avere pazienza e aspettare che passi! Abbiamo più o meno la stessa idea dei teenager, al giorno d’oggi, no?
Gli uomini maturi, con barba e pelo, sono considerati dagli antichi romani più saggi e affidabili. I giovani, invece, con scarsa peluria e tratti del viso più morbidi, sono più simili alle femmine e dunque poco razionali, ma più attraenti per gli altri uomini. L’omosessualità tipicamente greca ha influenzato molti vires, uomini adulti romani. Perciò, per un giovane, può essere rischioso andare da solo alle terme…
Le ragazze patrizie
Le femmine non indossano nessun amuleto, evidentemente se muoiono non è una grave perdita, e neppure studiano fuori di casa. In effetti, tutto quello che devono imparare le ragazze sta dentro le mura domestiche: fabbricare vestiti, preparare il cibo e occuparsi dei bambini. Le donne patrizie non fanno le faccende domestiche perché ci pensano gli schiavi, e perciò hanno tempo per truccarsi, farsi pettinare e depilarsi con delle dolorose cere. Il loro trucco (un misto di polvere di gesso, latte di asino, a volte erbe…) serve a schiarire la pelle. Chi ha la pelle scura lavora all’aria aperta, e le donne romane d’alta classe vogliono distinguersi dalle contadine abbronzate! Bisogna però evitare di truccarsi troppo e anche i capelli vanno pettinati e ordinati in modo sobrio, per non assomigliare a una prostituta.
Una matrona romana deve essere moderata, attenta alla prole e alla casa, devota al marito. Deve fare molti figli (maschi possibilmente!) e accettare le scappatelle del marito con altre donne. Se è la moglie a tradire, invece, il marito ha il diritto di ucciderla. Spesso le donne, sia ricche che povere, si sposano a undici o dodici anni con ragazzi e uomini più grandi.
Il potere del pater familias
La donna, anche da adulta, ha una condizione giuridica simile a quella dei bambini. Infatti dipende dal pater familias, il capofamiglia: è sotto la sua protezione e autorità (potestas). Il pater familias ha diritto di vita e di morte non solo sulla servitù ma anche su moglie e prole. Può persino venderli come schiavi o darli come garanzia di un prestito! Sia gli schiavi che la moglie e i figli non possiedono nulla: tutti i beni e le proprietà appartengono al capofamiglia.
Come si chiama un patrizio?
Prendiamo ad esempio il nome di un grande personaggio che conosceremo più avanti: Publius Cornelius Scipio Africanus.
Publius è il praenomen, cioè il nome con cui viene chiamato dagli amici e parenti fin da bambino.
Cornelius è il nomen gentilizio cioè il nome della gens patrizia, ovvero il clan.
Scipio è il cognomen, cioè un nickname a volte dovuto a una caratteristica fisica, caratteriale, di provenienza o di buon augurio. Il cognomen, altre volte, è ereditato dal padre e perciò indica a quale linea familiare appartiene l’individuo.
Africanus è l’agnomen, ovvero un secondo soprannome personale, di solito relativo alle imprese compiute. Per questo non tutti lo hanno… ma il nostro Scipione se lo è guadagnato vincendo la guerra in Africa contro Cartagine.
Come si chiama una patrizia?
Semplicemente con la versione femminile del nomen gentilizio, talvolta con l’aggiunta di un aggettivo.
Quindi Iulia Maior è la figlia maggiore di un esponente della gens Iulia. Sua sorella più piccola si chiama (che fantasia!) Iulia Minor.
Se, ad esempio, Lucius Livius Maximus ha molte figlie, le chiama Livia Prima, Livia Secunda, Livia Tertia… Livia Septima, eccetera.
A volte, l’aggettivo numerico è sostituito dal rimando al cognomen del padre e quindi la figlia di Marcus Livius Drusus si chiama Livia Drusilla.
Le donne non hanno un prenome perché sono chiaramente considerate inferiori? Probabile. Secondo un’altra ipotesi, invece, le romane hanno un praenomen, ma questo non viene rivelato in pubblico, per proteggerle. L’atto di chiamare per nome, invocare è infatti, secondo gli antichi, un modo quasi magico di possedere e controllare. Per evitare ciò, il praenomen di una donna è noto solo ai parenti.
E gli altri?
I plebei, che non appartengono a una gens, non hanno il nome gentilizio, ma solo prenomen e cognomen.
Gli stranieri che, con l’espansione di Roma e le concessioni di cittadinanza, diventano Romani a tutti gli effetti, di solito hanno un praenomen derivato dal nome dell’imperatore in carica e un cognomen che si riferisce alla loro origine, ad esempio Hispanicus, Gallicus, Germanicus, Britannicus, o che è il loro nome originale.
I liberti (ex schiavi liberati) prendono il praenomen e il nomen del padrone e aggiungono la parola libertus più il loro vecchio nome di schiavi. Ad esempio, lo schiavo Nicia liberato da Gaius Calpurnius Brutus, diviene Gaius Calpurnius libertus Nicia.
Per un elenco di nomi tipici, clicca qui:
https://www.romanoimpero.com/2009/09/i-nomi-romani.html?m=1
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