La filosofia a Roma
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Chi sono i filosofi?
I filosofi, nel mondo antico, sono coloro che studiano la metafisica e la matematica, ma anche l’universo, con la fisica e l’astronomia, e l’essere umano formulando teorie antropologiche, etiche e politiche. Essi si occupano di tutti gli ambiti del sapere non direttamente tecnico-pratico, ricercano la verità per amore di conoscenza e non per costruire un ponte o sconfiggere un nemico. La filosofia è un prodotto del mondo greco che i romani importano insieme a vasi, statue e credenze religiose quando conquistano il sud Italia, la Grecia e le coste dell’Anatolia. In questi luoghi sono vissuti e hanno fatto filosofia Socrate, Platone, Aristotele, Archimede, Epicuro, Talete, Anassagora…
I Romani sono gente pratica
I Romani sanno che la filosofia non è il loro forte. I discendenti di Romolo sono gente pragmatica, abile nell’ingegneria, nel diritto e nella strategia militare. Il sapere, a Roma, deve avere una funzione pratica e, infatti, quando i ricchi romani scelgono i maestri per i propri figli, di solito selezionano schiavi greci, i migliori in filosofia. Nel modo di pensare di un patrizio romano, studiare filosofia con un greco, ha un’utilità pratica: non si tratta affatto di amore per la pura teoria. Chi studia filosofia acquisisce abilità retoriche, cioè impara a parlare bene e ad essere persuasivo, ad esempio in un tribunale o davanti a un’assemblea. A Roma, generalmente, non si studia dunque la filosofia per sé, ma per diventare un convincente politico o un gran avvocato.
Lo Stoicismo
Tra tutte le teorie filosofiche partorite dal mondo greco, quella che più ha successo a Roma è lo Stoicismo. I filosofi stoici sono convinti che la realtà funzioni secondo leggi proprie a cui gli esseri umani non possono opporsi. L’unica cosa da fare è, dunque, adeguarsi alla realtà e accettarla.
Come può l’essere umano essere felice non avendo nessun controllo sugli eventi? Beh, imparando a non fare dipendere la propria felicità dagli eventi esterni! Lo stoico deve piuttosto essere padrone delle proprie emozioni e della propria interiorità, e diventare indipendente dalle passioni. È infatti inutile disperarsi, spaventarsi o angosciarsi per ciò che non si può controllare. Nemmeno bisogna farsi trascinare dalla gioia e dall’euforia perché ciò significa abituarsi a farsi comandare dalle passioni e quindi predisporsi a soffrire e vivere in modo passionale i futuri eventi negativi. Gli stoici ricercano il progressivo distacco dalle passioni fino a raggiungere la condizione ideale della mancanza di turbamento (in greco, apatheia). L’obiettivo degli stoici è la libertà interiore e il totale autocontrollo, la piena accettazione degli eventi senza una risposta emotiva. Solo in questo modo si è felici.
Chi è il saggio stoico?
Per gli stoici ciò che conta in un essere umano è l’interiorità, e poco importano le disgrazie o i colpi di fortuna, la ricchezza o la condizione sociale e tutti gli elementi che non dipendono dall’individuo. Di conseguenza, tutti gli uomini sono potenzialmente uguali. Un saggio stoico può essere l’uomo più povero e miserabile dell’impero o il più ricco e potente… E infatti, tra i principali rappresentanti dello stoicismo romano, ci furono tanto uno schiavo, Epitteto, come un imperatore, Marco Aurelio.
Seneca
Il filosofo stoico più conosciuto della storia di Roma, a cui si rifanno Epitteto e Marco Aurelio, è Lucio Anneo Seneca. Seneca è la prova vivente che la filosofia può essere spesa per fare carriera: diventa un grande politico e oratore al tempo di Caligola. Il filosofo fa grandi discorsi in difesa della libertà civile nella capitale. L’imperatore Caligola, che ha un atteggiamento tirannico e autoritario, non apprezza le idee del filosofo e vuole farlo eliminare, ma Seneca scampa alla pena di morte.
Anche il nuovo imperatore Claudio non nutre simpatia nei suoi confronti e quindi lo manda in esilio in Corsica. Alla morte di Claudio, però, l’imperatrice Agrippina Minore richiama il filosofo per farlo diventare precettore di suo figlio, il giovane Nerone (episodio 16). Dopo alcuni anni in cui i consigli e gli insegnamenti di Seneca guidano il nuovo imperatore nella buona amministrazione del potere e fanno guadagnare enormi ricchezze al filosofo, il rapporto tra allievo e maestro si deteriora. Nerone si comporta in modo autoritario, feroce e, secondo alcuni, folle. La moglie Poppea lo spinge a eliminare buona parte dell’entourage di corte e Seneca decide, saggiamente, di ritirarsi a vita privata per dedicarsi alla filosofia. Quando Nerone sventa la famosa congiura dei Pisoni che mira a eliminarlo, accusa Seneca di avervi partecipato. Seneca non ha organizzato l’attentato contro l’imperatore ma ne è a conoscenza, e non si è certo preso il disturbo di avvisare il suo ex alunno. Ad ogni modo, Nerone concede al proprio maestro di potersi suicidare. Seneca accetta stoicamente il Fato e si taglia le vene.
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