Listen to this text as you read:
L’economia ai tempi del fascismo
Dal liberismo al protezionismo
Dal 1922 e per i primi anni, lo Stato fascista interviene pochissimo nell’ambito economico, adottando una politica liberista. Questa politica economica subisce nel 1925 un cambio in direzione protezionista, più coerente con una mentalità nazionalista. L’obiettivo è, infatti, favorire la produzione nazionale imponendo tasse sui prodotti esteri, primi fra tutti i cereali. Essi sono la base dell’alimentazione e, secondo il regime, è necessario essere autosufficienti nella produzione dei beni di prima necessità. Vengono così penalizzati i produttori italiani esportatori e i piccoli e dinamici imprenditori. Il programma per aumentare la produzione di cereali è chiamato, con toni militareschi, “la battaglia del grano”.
Altro grande obiettivo è stabilizzare il valore della lira, portandolo a “quota 90” cioè ottenere che il prezzo di una sterlina sia di 90 lire. L’obiettivo viene ottenuto grazie ai prestiti delle banche americane e alla riduzione degli stipendi per i dipendenti statali.
La crisi del ’29 e la ripresa
La politica protezionista ripara l’economia italiana dalla crisi del 1929, ma solo parzialmente. Nessuno si salva veramente, eccetto l’Unione Sovietica.
Lo stato fascista inizia quindi una serie di opere pubbliche per fare circolare il denaro: le principali sono la costruzione di strade e ferrovie, il risanamento di Roma e la bonifica di zone paludose, soprattutto nel Lazio. Nelle ex-paludi si fondano addirittura le due città di Sabaudia e Littoria (oggi chiamata Latina). Inoltre, lo Stato aiuta le banche in difficoltà e compra le azioni delle grandi imprese in crisi. In questo modo, alla metà degli anni ’30, l’Italia comincia a riprendersi economicamente e lo Stato si ritrova proprietario di alcuni colossi dell’industria, che ricominciano a funzionare. È in questo modo che l’Italia diventa uno “stato imprenditore”.
Una grande impresa propagandistica per reinvestire i profitti
Invece di utilizzare i profitti per migliorare l’industria e aumentare i salari, però, Mussolini decide di investire in un’impresa propagandistica che avrà un impatto economico negativo: la conquista dell’Etiopia.
Tra il 1895 e il 1896, gli Italiani erano già stati in Etiopia per cercare di conquistarla, venendo però annientati dal negus Menelik II.
L’Italia aveva ottenuto solo la piccola Eritrea. Ricorderai poi (vedi capitolo 7) che l’Italia ha cercato di conquistare la Libia nel biennio 1911-1912 per convertirsi in un impero coloniale: anche quello un grande flop.
Nel 1935 Mussolini riprova per la terza volta a fare dell’Italia un impero coloniale: le vittorie in guerra generano consenso e, se vincesse, in Occidente l’Italia sarebbe vista come un impero, finalmente rispettata al pari di Francia e Inghilterra. A dire il vero, l’Italia ha già messo un piede in Africa, in Eritrea e in parte della Somalia. Entrambe sono confinanti con l’Etiopia e, da lì, è facile arrivare nelle terre da occupare. Inoltre, si possono usare gli Eritrei e i Somali, che conoscono bene il territorio, come soldati dell’esercito italiano e come guide.
Link utili
Se vuoi saperne di più sull’economia fascista puoi leggere questo breve articolo:
http://www.storiaxxisecolo.it/fascismo/fascismo3.htm
+++
What now?
Return to our History page
Explore SIX LEVELS of FREE materials on the club website: A1 – Beginner/Elementary | A2 – Pre-Intermediate | B1 – Intermediate | B2 – Upper-Intermediate | C1 – Advanced | C2 – Proficiency
Why not read/listen to EasyItalianNews.com? That’s FREE, too.
+++