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Antonio Gramsci e la nascita del Partito Comunista (1921)
Il Partito Comunista d’Italia
Alcuni membri del Partito Socialista Italiano (PSI) sono scontenti di come va il proprio Partito: rammollito, sempre disposto al compromesso coi padroni e, in buona parte, gestito da borghesi che ambiscono a una carica per sé. Perciò questi membri, sulla spinta del Biennio Rosso, durante la riunione dei socialisti italiani del 1921, si alzano e dichiarano che hanno deciso di separarsi dal PSI per fondare il Partito Comunista.
I comunisti italiani si considerano fedeli all’ideale proletario e vogliono organizzare dei “consigli di fabbrica” con dei rappresentanti eletti direttamente dagli operai (sul modello dei Soviet russi) per autogestire la produzione senza bisogno dei padroni borghesi. Ben presto i comunisti cominciano ad essere perseguitati dai Fasci di Combattimento. Pochi anni dopo, nel 1926, il Partito Comunista d’Italia verrà dichiarato illegale e i suoi rappresentanti messi in prigione o eliminati dagli uomini di Mussolini.
Ma ora cerchiamo di conoscere meglio uno dei leader più rappresentativi del Partito Comunista, nonché uno dei personaggi italiani più celebri del XX secolo.
Il giovane Antonio Gramsci
Antonio Gramsci è il secondo figlio di una famiglia sarda piuttosto povera. Quando ha solo quattro anni la madre gli compra una bara e il vestito da morto: il piccolo Antonio è colpito da emorragie e convulsioni e tutti sono convinti che morirà. Invece sopravvive, ma soffre di rachitismo e problemi alle ossa. Per questo, da adulto, sarà alto solo un metro e mezzo.
A scuola è bravissimo ma, appena finisce le elementari, deve andare a lavorare, perché suo padre è stato messo in prigione, lasciando la famiglia in grave difficoltà economica. Il bambino lavora negli uffici del catasto per dieci ore al giorno, in cambio di un chilo di pane. Con il rachitismo e i problemi di salute è veramente un inferno dovere spostare le enormi scatole piene di documenti. Antonio, di notte, piange per i tremendi dolori.
Le cose migliorano quando il padre rientra a casa e trova lavoro: finalmente Antonio riesce a terminare il liceo. In seguito ottiene una borsa di studio per l’Università di Torino, città molto più moderna della sua Sardegna. Qui si iscrive al Partito Socialista e scrive articoli per l’Avanti! (il giornale socialista per qualche anno diretto da Mussolini).
Gramsci, affascinato dalla Rivoluzione Russa del 1917, rimane molto deluso dal fallimento delle rivolte degli operai torinesi. Essi non sono stati aiutati, coordinati né diretti minimamente dal Partito Socialista Italiano che, al contrario, non si è opposto ai grandi industriali e alle pressioni borghesi. Per questo, come dicevamo all’inizio del capitolo, fonda insieme a una minoranza il Partito Comunista.
Gramsci davanti al Tribunale Speciale Fascista
Nel corso degli anni Venti, socialisti e comunisti continuano le proprie discussioni ideologiche e la Sinistra non riesce a mettersi d’accordo nemmeno davanti al pericolo fascista. In realtà, gli uomini di Sinistra sono convinti che il Fascismo sia così scandaloso e inaccettabile che perderà l’appoggio dell’opinione pubblica e cadrà da solo.
E invece Mussolini prende sempre più potere e istituisce persino un Tribunale Speciale Fascista davanti a cui vengono portati i più importanti comunisti italiani, tra cui lo stesso Gramsci (1928). Essi sono considerati pericolosi sovversivi che tramano contro lo Stato.
In aula, davanti a Gramsci, ormai famoso come intellettuale di spicco, il pubblico ministero dichiara apertamente: “Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni!” e, infatti, Gramsci viene condannato a vent’anni di carcere. Ma, durante questo periodo, il cervello di Gramsci non smette di funzionare e, anzi, egli scrive i suoi ‘Quaderni del Carcere’, in cui sviluppa le proprie teorie.
La sua pena durerà meno di vent’anni: per i molti problemi di salute, aggravati dalle terribili condizioni della prigione, Gramsci viene lasciato uscire e portato in ospedale. Ma ormai è molto malato e muore poco dopo (1937).
L’egemonia culturale
Gramsci arricchisce la teoria di Marx con il concetto di “egemonia culturale”. Ci sono due modi, dice Gramsci, in cui la classe dominante borghese mantiene il potere e impedisce la rivoluzione della classe lavoratrice: uno è la forza repressiva e l’altro è l’egemonia culturale, cioè il controllo del pensiero e delle emozioni dei lavoratori. Questo secondo potere è estremamente pericoloso perché non si vede ma agisce sulla mente di ogni singolo membro della società.
Secondo Gramsci, la rivoluzione di cui parlava Marx non c’è ancora stata proprio perché la borghesia controlla il pensiero anche delle masse. La classe lavoratrice ha appreso dai media, dalla scuola e dalla Chiesa un’etica nazionalista, consumista e individualista. La rivoluzione, perciò, deve avvenire sul fronte culturale prima che su quello economico e politico. Per fare ciò, le masse operaie e contadine devono essere educate al pensiero critico e, parallelamente, la élite intellettuale deve schierarsi con le masse dei lavoratori.
Link utili
Per approfondire la teoria gramsciana dell’egemonia culturale, guarda questo breve e chiaro video: https://youtu.be/cmNccCxM60I
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